del male di vivere
“Chi si suicida è un codardo”.
Si può dire un po’ in tutti i modi, ma alla fine il significato è sempre lo stesso. Come se chi resta, per qualche motivo, abbia il diritto di sentirsi migliore, dovesse sentirsi nella posizione di giudicare.
Ma che ne sa chi dice una frase del genere, della vita? Della vita che conduce chi vive con un peso del genere dentro?
Io sono ancora qui. Dopo tutto questo tempo. E non sono migliore di nessuno, sono solo una vigliacca. Stanca, stanca di tutto questo da sempre, inadatta alla vita, ma troppo codarda per poter fare qualcosa. Vivo ogni giorno con un vuoto che pesa come un macigno, accanto al senso di fallimento per non essere nemmeno in grado di fare quello che andrebbe fatto.
Non sono nemmeno a metà, di questa condanna, e sono stanca da sempre. Di soffrire. Di essere inadatta. A tutto.
Possono esserci giornate positive, mesi. Ma è solo un palliativo per non pensare a quello che realmente c’è. Al vuoto. Al niente.
del male del mondo
Oggi ho guardato uno di quei video delle maestre che picchiano i bambini, quelli tutti sgranati dove si capisce poco e niente con un agghiacciante silenzio in sottofondo. Questi video mi provocano da sempre un’insana morbosità, e ogni volta mi trovo a pensare come sia possibile. Mi sembra una delle cose più grette del mondo, una livello di bassezza dell’essere umano veramente infimo. Io posso arrivare a capire un genitore, senza giustificare, ma considerando il fatto che i casi sono infiniti ed è possibile, in mezzo a questi casi, ritrovarsi in situazioni che non si riescono a gestire. Ma una maestra sceglie il lavoro che fa, lo fa per sua personale scelta. Quindi ci sono donne che scelgono di raccogliere bambini da maltrattare. Nemmeno le streghe più cattive delle fiabe sono così cattive.
Forse dovrei tenere ben chiaro a mente proprio questo livello, questa tacca qua, in ogni momento, per smettere di sorprendermi, amareggiarmi, sentirmi a disagio ogni volta che mi scontro con questo, questo male, il male del mondo da cui mi sento completamente indifesa e che non riesco a gestire, a venirne a patti, ad accettarne una convivenza forzata.
di mio zio
Due settimane fa mio zio è morto. Non è bastato che mi si lacerasse il cuore per il fatto in sè, c’è stata anche una buona dose di vergogna versata dentro per essere tre anni che non sentivo la sua voce. Ho mille giustificazioni, che forse possono convincere i parenti che bonari mi dicono che sì, è normale, ma che con me stessa non reggono al vaglio della mia imprescindibilità.
La verità è che a volte mi sento come se la mia città natale mi avesse chiusa fuori, mi sento un’estranea, anche se quella che se ne è andata dando due mandate alla serratura sono io.
Andare in giornata per me sola è stancante, andare in coppia significa dovermi nascondere, andare a dormire da qualcuno significa creare una crisi di stato familiare nonché costringere qualcuno ad ospitarmi. E così per questi tre anni me ne sono stata nella mia bella Milano senza pensare troppo ai parenti. Cullandomi nel pensiero che poi tanto tutti i miei zii adesso hanno dei nipotini tutti loro, figli dei loro figli, e io che ero la nipotina acquisita (per età sono più vicina ai figli dei loro figli che ai miei stessi cugini), sono passata in secondo piano, giustamente.
Avrei voluto poterti dire tante cose, zio, prima che te ne andassi. Avrei voluto poter non usare le parole, che non bastano mai, per raccontarti di come io, una smemorata senza speranza, conservo e colleziono centinaia di ricordi proprio con te. La passeggiata in chiesa la domenica mattina, le sigarette di nascosto sul balcone di casa tua, tu che passi l’aspirapolvere, le testate alle travi della baita, le camminate al mattino sulla spiaggia, la tua voce. Sei stato un padre, un nonno, uno zio, tutto quanto. La vita ti ha dato meno di quanto si sarebbe meritata una persona come te, e forse a te quel meno è sempre bastato, ma questo io, che sono stata una semplice familiare, non lo saprò mai. Di tante persone sciocche e inutili che ho conosciuto nella mia vita, avrò sempre il rammarico di non aver potuto avuto te, come amico, nella mia vita.