delle domande ovvie con risposte meno ovvie
« Ma era così anche prima? »
Questa è la domanda d’obbligo quando finisco di raccontare le vicissitudini. Leggo negli occhi dell’interlocutore la (giusta) diffidenza sulla mia versione come unica e sola, e ci mancherebbe, e vedo che cerca di capire quanto sincera sia facendo questa domanda. La risposta è cambiata nel tempo. Prima era no. Poi ni. Adesso è un categorico sì. Perché a forza di rispondere, ci ho riflettuto bene e, visto che la risposta dipende da cosa si intende per così, allora mi sono fatta un po’ di domande più precise:
« Ma era così stronzo anche prima? »
« Sì »
« Ma era così demente anche prima? »
« Sì »
« Ma era così imbarazzante anche prima? »
« Sì »
« Ma era così dispotico anche prima? »
« Sì »
Insomma, se in 8 anni di matrimonio ho dovuto discutere su tutto, dal mutuo che volevo fisso (adesso abbiamo un variabile) all’imbiancare un paio di stanze ma facendolo fare da qualcun altro perché fisicamente mi è insostenibile farlo io (ho dovuto farlo io – imbiancare mi sono rifiutata categoricamente, ma spostare tutti i mobili e coprire tutto, quello sì), al scegliere la zona della casa (comprata a 5km dal suo posto di lavoro), al dove andare in vacanza (saltate nell’ultimo anno).
Lui è sempre stato così. Sono io quella che è cambiata.
del blocco del programmatore
Piove, guardo fuori dalla finestra, e mi ritrovo a pensare al progetto che ho appena lasciato cambiando lavoro. Questa dannata empatia verso dei pezzi di software, penso; vorrei non abbandonarli mai, vorrei sempre sapere, per quanto vecchi, come stanno e come girano adesso.
Poi mi chiedo perché, allora, ho dei progetti che lascio andare? Progetti che lascio perdere, a cui non riesco a continuare, nonostante li ami effettivamente quanto gli altri, e so che mi mancheranno quanto gli altri quando li avrò definitivamente lasciati.
Il blocco del programmatore. Ecco cos’è.
Io sono sempre stata pigra, in generale. E soprattutto una programmatrice pigra. Leggo solo quello che serve per il mio lavoro, difficilmente leggo articoli tecnici per il gusto di leggerli, mi scoccio a seguire i corsi, insomma, so di essere pessima, ma sono così. Lo ammetto. Mi sono sempre crogiolata sul talento naturale facendo il minimo possibile sforzo. Le mie 8 ore di lavoro al momento mi sembrano più che sufficienti, di rado apro il computer quando torno a casa. Io mi isolo completamente quando ho davanti uno schermo, da tutto quello che ho intorno, sono da un’altra parte; quando sono a casa mi piace essere circondata invece dal resto, dalle persone, e in particolare da una.
In realtà, avrei molto più tempo libero se cambiassi alcune mie abitudini, ma sono abitudini in cui mi piace coccolarmi e, cavolo, chi me lo fa fare?
Poi però c’è sempre un periodo di stanca a lavoro, dove non c’è molto da fare, e allora annoiandomi prendo il progetto del momento e cerco di lavorarci. Non ci lavoro da mesi. A volte da anni. E’ da aggiornare. Per forza, non sono nemmeno più in grado di lavorare su codice così vecchio. Provo a guardarmi intorno per capire cosa fare e mi rendo amaramente conto che lo stavo già aggiornando. Sono a metà di un aggiornamento che è già obsoleto. Non funziona niente. Passo un giorno a cercare di aggiornare il minimo possibile per farlo andare e cercare di valutare cosa c’è da fare. Passo il secondo giorno a fare lo stesso. Il terzo giorno, riunione a lavoro e arriva qualcosa da fare. Passano i mesi. A volte gli anni.
del disprezzo
In giorni come questi vorrei solo poter tornare a casa, sotto le coperte, chiudere le finestre, chiudere questo mondo fuori, chiudere gli occhi, perdermi nel sonno e smettere di pensare. Sento il peso di vivere in tutte le sue tonnellate, un peso che si appendere alle mani, alle braccia, che tirano giù le spalle e il collo, gli occhi incollati per terra, per non sentire, non vedere, quello che mi circonda. Un mondo che in giorni come questi disprezzo con un’intensità quasi ingiustificata, dove ogni persona che guardo e ascolto mi sembra piccola, inutile e sbagliata, dove le uniche volte in cui apro bocca per dire qualcosa, e poi la richiudo, sarebbe stata una frase cinica e senza alcun filtro. E allora sto in silenzio e giudico, giudico tutto e tutto mi innervosisce, dal collega che non fa un cazzo all’amica che non vuole sterilizzare il gatto.
Riesco a scendere al vostro livello solo la sera, quando arrivo a casa e spengo tre quarti dei miei neuroni annegandoli nel fumo. Ma forse anche così sono troppo per questo mondo di merda.