è solo un blog

i'm a fountain of blood in the shape of a girl

della realtà vs. i desideri

Due anni li abbiamo passati, due anni per cui un aggettivo appropriato non è ancora stato inventato. Bellissimi è riduttivo, perfetti non è corretto perché sono stati perfetti nella loro imperfezione.
Dal primo giorno abbiamo vissuto in simbiosi. Abbiamo dormito insieme ogni notte tranne una decina, per viaggi di lavoro. Ci siamo svegliati insieme ogni mattina, ogni giorno che è stato possibile siamo andati a lavoro insieme e siamo tornati a casa insieme. Abbiamo i nostri momenti separati con gli amici, con gli impegni, ma – almeno per me – non posso considerare momenti passati da sola nemmeno quelli. Che lui sia presente fisicamente o no, c’è in ogni singolo momento, pensiero, parola, gesto, desiderio.

Però viviamo in due case diverse.

Lui ha la sua casetta acquistata qualche anno fa, io ho la mia stanza in affitto a Milano. Da due anni a questa parte, viviamo con la borsa sempre pronta, pronti ad andare in una casa o nell’altra. Posso descrivere il tutto semplicemente con il fatto di possedere tre eyeliner identici: uno a casa mia, uno a casa sua, uno nella borsa.
La domanda ricorrente è “ma perché non andate a vivere insieme?”. In passato è capitato anche a me di fare questa domanda perché, a livello di logica, è la cosa più antieconomica che esista. Io spendo circa 500€ di affitto al mese, circa 400€ di mutuo+spese al mese, lui spende circa la stessa cifra in mutuo; doppie bollette, doppio internet, doppi oggetti, doppia spesa, doppio cibo andato a male buttato, doppio tutto.

Perché non andiamo a vivere insieme?

Perché io non voglio andare a vivere insieme?
Ho un sacco di motivi. La convivenza appena conclusa – sommata, se vogliamo, alle precedenti – mi ha saturata ad un livello che nemmeno credevo di avere. Non sopporto più compromessi, e a chi mi dice “eh ma sono necessari”, rispondo che no, non lo sono. Se decido che non ne voglio, non ne faccio. Ci perderò io, e sticazzi. Non è che non voglio compromessi ma voglio comunque tutto il resto, sono conscia del fatto di non poter pretendere nulla, ma se devo scegliere tra un compromesso e il non avere una cosa, scelgo il non avere una cosa. Semplice. Ho un conato ogni volta che penso a un compromesso.
Un altro motivo è la paura, la stessa che avevo prima di cambiare lavoro: prendo una situazione perfetta, e ne cambio un pilastro. Certo, potrebbe andare tutto bene. Ma anche no. E questo mi spaventa moltissimo.
Poi c’è lo spazio, lo spazio! Ho una stanza dove se voglio stare sola, posso starci. E’ la mia stanza, ci sono le mie cose, ci sono io e basta. Una casa in comune, per quanto grande, non sarà mai così, non sarà mai mia, sarà nostra. Avremo degli spazi in comune, e io non avrò più il mio.

E poi mi piace la romanticità della situazione. Ogni giorno, noi ci sentiamo per decidere dove andare, a casa di chi, dove incontrarci. Ogni giorno ci scegliamo, nel senso più letterale del termine.

Mi sembrano un sacco di buoni motivi.

Passo ogni giorno a chiedermi se tutti questi motivi valgono il buttare più di 1500€ al mese o se il mio sia solo il capriccio di una persona ferita.
Forse, li varrebbero se non volessi quei soldi in più per crearmi, crearci un futuro diverso.

dei messia di stocazzo

Per la rubrica: cose che mi infastidiscono, capitolo 3.456.478: la gente che ha la verità in tasca.

Detto da una che ha sempre molto spesso ragione, può sembrare un controsenso; la differenza è l’argomento: se per un fatto oggettivo la ragione è univoca e dimostrabile (lo stretto di Messina è largo circa 3,2 km e, se sostieni il contrario, stai sbagliando), per un’ideologia, stile di vita o pensiero non può esistere lo stesso concetto. E se non esiste ragione univoca, non puoi averla tu.
E’ ormai qualche anno che sto cercando in un qualche modo confuso (lo so, lo so) di lavorare sul mio personale concetto di ragione (sì, sono molto lenta in questi processi). Mi è istintivo pensare che ad esempio il titolare della spiaggia fascista abbia torto, ma come faccio a sapere che non sono invece io dalla parte del torto? Come posso giudicare un fatto del genere, senza rientrare nella categoria di quelli che hanno tutte le verità assolute (che però sono sempre solo le loro, guarda caso) in tasca? Non posso. Non dovrei giudicarlo. Se non a livello personale, dicendo che a me personalmente provoca fastidio. Ovviamente, il primo istinto è pensare che è un coglione, non sono ancora arrivata ad uno stadio in cui riesco a non giudicare del tutto, ma ci sto lavorando e sono fiduciosa che nel giro di qualche era geologica riuscirò a perfezionare questo aspetto. Anche se non sono ancora certa che sia poi così corretto.

Questa premessa era giusto per spiegare un paio di concetti.

Nel dettaglio, comincio ormai a non riuscire nemmeno a mascherare l’insofferenza che provo per tutte quelle fantomatiche perle di vita / ragione assoluta che continuo a leggere su facebook e, purtroppo, a sentire di persona da voci umane. E che guarda caso spesso sono semplicemente il frutto di un’esperienza di vita personale che non ha un cazzo da spartire con la mia, di vita. Oppure si tratta di verità assolute a cui nemmeno le persone che le esprimono credono. Ormai mi pare di essere circondata solo da esperti filosofi, con motti da “La vita comincia quando abbandoni la tua #comfortzone”, fino a dictact più pratici “perché compri casa? in affitto è meglio, comprare è una cazzata”.

E a me si forma un’unica domanda, sempre, in testa: ma tu, esattamente, cosa cazzo ne sai? Di come è meglio vivere, cosa ne sai? Di cosa è meglio fare, pensare, mangiare, organizzare, dove è meglio viaggiare, cosa ti rende migliore o peggiore? Sei uno come me, della mia età, che arranca tra lavoro, vacanzine, viaggetti, arredi casa con pinterest, hai avuto un’esperienza di vita che comprende forse lo 0,00000001% delle esperienze che si possono fare in una vita, come me. Cosa ti rende così superiore da poterti esprimere su cosa è meglio fare? Su cosa si deve fare? Hai una macchina del tempo ed hai già visto che, in punto di morte, sarai contento e soddisfatto di essere uscito dalla tua comfort zone?

dei sentieri

Lei dice « sei proprio cambiata ». Io minimizzo e la butto sul pratico. Lascio macerare 12 ore ed ecco qua, un flusso di coscienza pronto per l’uso. E se avesse ragione lei? Sono cambiata, non cucino più, non mi interessa particolarmente provare nuove ricette né organizzare cenette a casa con gli amici. Posso dire che è perché non sono a mio agio nel mio ambiente cucina, in affitto, ma alla fine non è nemmeno vero, ho più strumenti di prima. E’ che forse in tutte queste cose ho cominciato ad identificare quello che non voglio più essere, il tipo di vita che non mi interessa più fare. Mi sembra normale: ci ho provato, moltissimo, mi sono realmente impegnata nel cercare di adattarmi, ma non ha funzionato. Nessuno mi ha obbligata, è stata semplicemente una scelta di seguire il percorso più chiaro. E allora, viene da chiedersi se non basta seguire un altro tipo di percorso, un altro punto di vista; e questo per me è il problema principale, perché non mi è facile deviare da quello che è ciò che conosco già, mi è difficile immaginare qualcosa di diverso, sono proprio scarsa in immaginazione. E allora cosa devo fare? Sono brava in logica, e l’analisi logica mi suggerisce di prendere tutto ciò che potrebbe essere causa del disagio di una situazione precedente ed eliminarlo; se il problema scompare, posso iniziare a integrare ogni cosa precedentemente sospetta e verificare se è la causa. Ovviamente, tutto questo non ha alcun senso, non essendoci logica nelle azioni e reazioni umane, sarebbe come fare l’analisi grammaticale di un dipinto. E allora, cosa resta da fare? Dopotutto, sembra che tutti i rapporti umani abbiano la tendenza a scivolare facilmente in questi canali già collaudati, al punto da far pensare che probabilmente siano semplicemente quelli naturali.